Per Simone, ancora (qualche parola e qualche foto)
Giovanni Succi, che, come ho raccontato, dedica il podcast di questo mese a Simone Cattaneo, mi ha posto qualche domanda e ne è venuta fuori una breve intervista per inquadrare la figura e la poesia di Simone. Potete leggerla per esteso qui.
Tra le altre questioni, si è detto delle poche immagini di Simone, e mi è venuta voglia di sfogliare qualche vecchia cartella. A lavorarci con calma, chiedendo anche ad altri di raccogliere materiali simili e confrontare le informazioni, ne verrebbe fuori un bel racconto – di Simone ma anche di quello che è stato il gruppo di Atelier.
La prima fotografia che vorrei segnalare è relativa al 17 giugno 2006, quando alla Villa Marazza di Borgomanero festeggiammo il decennale della rivista. Come in una formazione calcistica, ecco il gruppo dei presenti nell’occasione: in piedi, da sinistra: Cesare Viviani, Tiziana Cera Rosco, Massimo Gezzi, Giuliano Ladolfi, Simone Cattaneo, Federico Italiano. Accosciati: Andrea Temporelli, Alessandro Rivali, Giovanni Tuzet, Davide Brullo.
L’occasione era importante, ma non eravamo tutti. Anche perché negli anni la redazione mutava, accoglieva nuovi ingressi, lasciava libero chi si era sentito di passaggio. Lo stesso Cesare Viviani nel periodo immortalato dalla foto era una sorta di ospite ma, considerandone la riservatezza, la sua attenzione nei nostri confronti, non solo formale (in più di un’occasione ci aveva raggiunto per le nostre riunioni), era un segno tangibile di quello che stavamo rappresentando per il mondo della poesia.
Ho trovato anche un’immagine di Simone che si riferisce a un altro momento importante, il convegno che organizzammo a Firenze il 5 dicembre 2003. Poeti di tutta Italia ci raggiunsero a Palazzo Vecchio: diverse generazioni si incrociarono e si conobbero in quella circostanza. Credo si sia trattato di uno degli eventi letterari più importanti del periodo, per quel che riguarda la poesia, anche se ovviamente le cronache hanno inserito agli annali solo altri eventi, mediaticamente più allettanti, magari perché legati al mondo della narrativa o perché capaci di vellicare le attenzioni di qualche personaggio più in vista. Noi interfacciammo invece essenzialmente i poeti dell’opera comune (noi autori nati negli anni Settanta) con i poeti nel limbo, vale a dire una generazione emergente, che cercava di riplasmare un’idea di tradizione letteraria, e una generazione (ingiustamente) sacrificata, almeno in poesia (e invece di successo a livello di narrativa). La sala dei Dugento era gremita e attraversata da un fervore non di circostanza.
La fotografia che riguarda Simone invece si riferisce a un momento meno formale: lo ritrae durante la cena, mentre scherza con Isabella Leardini.
Isabella non ha mai voluto entrare a far parte della redazione, benché fosse molto legata al nostro gruppo, ma ha reinterpretato il moto di aggregazione che ci dava forma, senza chiuderci, anzi diffondendosi nelle altre generazioni come onde concentriche, dando vita al festival di poesia “ParcoPoesia” – altra occasione annuale in cui molti di noi si ritrovavano.
Non è un caso che, per esempio, anche un autore del ’61 come Paolo Fabrizio Iacuzzi (perfetto esempio del talento non riconosciuto della “generazione del limbo”), abbia dedicato a Simone Cattaneo un’intera sezione della sua nuova raccolta di poesie, Consegnati al silenzio.
I momenti più belli e memorabili, però, erano quelli vissuti a Borgomanero, nella redazione della rivista. Senza maestri, ma voraci di letture e suggestioni, mentre si progettavano i numeri o si sognavano eventi e attività, ciascuno tornava a casa con qualche manoscritto da leggere o, ancor di più, con qualche nome e qualche titolo da recuperare – anche e soprattutto di autori stranieri.
Gli italiani, li conoscevamo tutti, fino ad arrivare a quelli misconosciuti, agli irregolari, ai fratelli maggiori che non godevano della visibilità editoriale. Si discuteva ovviamente soprattutto dell’ultima generazione attestata e, bene o male, insediata nei luoghi che contano: Milo De Angelis, Valerio Magrelli, Maurizio Cucchi, Giuseppe Conte, lo stesso Cesare Viviani e tutti gli altri.
Simone parlava poco, non si sentiva un critico e non elaborava discorsi estetici: soprattutto ascoltava. Poi, però, all’improvviso usciva con qualche suo pensiero, semplice e tagliente: erano veri colpi d’ascia. Di solito, però, preferiva il confronto a due, così coglieva ogni occasione buona per esprimere le sue idee a qualcuno di noi, in un momento di pausa. Era un mix di idee forti (conosceva come pochi certe pieghe e autori “di nicchia” della letteratura americana) e di bisogni di rassicurazione, sulla sua poesia. Non si direbbe, considerata la personalità forte che esprimono i suoi versi, eppure Simone era questo: una montagna di forza e ritrosia, di predilezioni assolute e di tormenti.
Se parlare di “fratellanza” per indicare il legame che ci univa apparirà ai più un po’ retorico, la foto che segue coglie un bell’abbraccio di Simone a Federico (a sinistra, si vede Alessandro Rivali e a destra Andrea Ponso) e testimonia che quella parola ha (avuto) un senso, almeno per alcuni di noi.
E la fratellanza si respirava anche e soprattutto nei momenti di sana goliardia, come in uno dei nostri giri di Whisky. Non so perché nella mia didascalia della foto si parli di Whisky di Heaney: probabilmente, parlando del grande poeta irlandese, si è toccato qualche aneddoto che ci ha portati alla bevuta in suo onore: Massimo Gezzi sta rifacendo il giro, e Simone non si tira indietro, mentre Andrea Ponso e Tiziano Fratus mostrano una disposizione più sobria:
Forse la fotografia risale al 2003 (i dati digitali dell’immagine rimandano effettivamente al dicembre di quell’anno).
Oltre a quelle pubblicate, ho ritrovato in questa prima ricerca poche altre foto. Tra queste, c’è anche la locandina di un evento organizzato ai tempi da Isabella Leardini, a Riccione. Qui il mio apre la serie dei volti, e precede proprio quello di Simone, che spicca per la sua solita espressione dura, tenebrosa, che racconta molto della sua voglia di aggredire la vita, per scoprirne il segreto inaudito, la sostanza di duro amore. E di fraternità.
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