Monet, La gazza e la neve

Pascoli, la neve, l’addio all’infanzia

La scuola impone più di altri mestieri un senso ciclico e ripetitivo del tempo. In questo, un docente può sentirsi prossimo al mestiere del contadino. Cultura e coltura sono gemelli. E forse – ci penso adesso – anche questo incide molto, insieme alle origine contadine della mia famiglia (mio padre operaio fin da bambino, ma emigrato dalla campagna), nella ricorrenza di certe immagini e di riferimenti agresti nelle mie poesie.

Tuttavia, per svariate ragioni, soprattutto per indole, non mi riesce di ripetere, anno dopo anno, lo stesso percorso didattico. Ci sono sempre testi nuovi, sorprese, esigenze inattese. E, soprattutto, il percorso è frutto sempre di un incontro: con le ragazze e i ragazzi di una nuova classe, ma anche con i colleghi con cui si progetta, e con le novità della stagione che si vive (mai come quest’anno portentose, ovviamente).

Ogni anno a scuola è un’avventura, ci progettiamo, gettiamo in avanti il cuore per crescere, pronti ad affrontare l’imprevedibile.

Ciò non toglie che ci siano stazioni abbastanza stabili nel percorso, letture che si sono sedimentate, esperienze entrate nella tradizione. Per esempio, in prima media mi capita abbastanza stabilmente di riproporre due poesie di PascoliNovembreNevicata. Il primo funziona per l’approfondimento dei testi descrittivi, e proprio a novembre, di solito, siamo pronti per rilanciare l’esercizio e assaporare le prime vertigini della poesia. La seconda, invece, ci accompagna nell’osservazione dell’inverno, ma si trasforma in un’occasione preziosa, in un rito di abbandono dell’infanzia, che si compie attraverso il superamento degli stereotipi.

Ho provato a raccontare questo rito in una videolezione:

 

3 commenti
  1. massimiliano
    massimiliano dice:

    Ci sono momenti in cui vedo una strada che è più strada della strada che sto percorrendo in auto. Chiara, nitida, anche se priva di significato. Se qualcuno mi chiedesse cosa sto guardando direi, Niente, la strada, sto guidando. Allora il passeggero tornerebbe alla sua vita, immensa quanto quella che sono tornato a guardare, gli alberi, una collina, un segnale stradale… non so perché dico questo. La poesia Novembre mi fa piangere. Nevicata non mi dice niente.

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    • Andrea Temporelli
      Andrea Temporelli dice:

      Sono molto legato anch’io a Novembre, mentre Nevicata resta più scolastica. Forse tornerò un po’ sulla prima, a cui sono legato anche per motivi biografici: la sua spiegazione in classe, alle medie, è stato un momento decisivo per la mia svolta verso la poesia

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      • massimiliano
        massimiliano dice:

        Per quel poco che riguarda me, ci fu una poesia, italiana, in prima media, durante l’ora di antologia… ma non ricordo di chi fosse, ( ho chiesto e richiesto ma niente, tanto che mi viene il dubbio di essermela inventata, ma sono quasi certo di no)…finiva che il poeta – personaggio principale della poesia – riuscendo a guardare attraverso le case attorno, all’aria, alle cose, infine guardando la nuda terra vedeva sotto i morti. Il modo di caricarsi e di arrivare al finale spiazzante e vertiginoso aveva lo stesso incedere di questa di Pascoli, dalla quale forse a questo punto proviene, avendo un finale decisamente simile ( come il paesaggio invernale, o comunque nitido contrapposto a desertico )…ma me la ricordo con un linguaggio appena più moderno, non so. Ricordo più che altro la violenza dell’immagine finale, questa idea portentosa e le parole finali: “…e sotto i morti.”. Imparai da quella volta che le parole potevano far esistete cose fino a poco prima impensabili, indicibili. Letteralmente farle vedere, farle sentire. Non lo sapevo.

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