Vincono sempre i mediocri? Noterella antipatica e sincera
La mia generazione, e parte di quella successiva, sta arrivando al traguardo. Accumulate pubblicazioni, esperienze, avventure, kermesse, performances ecc., alcuni possono proclamare di avercela fatta. Sono riconosciuti, vincono premi prestigiosi, ricoprono ruoli importanti, hanno voce in capitolo. Sono ormai autori adulti e nei prossimi decenni mireranno a divenire venerati maestri. Molti io li ho conosciuti quando avevano vent’anni o giù di lì, e come me bruciavano di passione letteraria, nutrivano dubbi, cercavano risposte, e non sapevano ancora chi fossero e chi potevano diventare. Penso a loro con simpatia, senza alcuna invidia – del resto ciascuno ha compiuto le sue scelte e io non ho creduto ai traguardi a così breve termine: sono più ambizioso, o più cretino, a seconda dei punti di vista.
Quelli che ho conosciuto meglio erano sicuramente, e penso lo siano ancora, brave persone, non certo i soliti stronzi. E poi, non ho seguito al meglio il loro percorso: li avevo stimati allora e, dopo essere uscito volontariamente dal giro, come si dice, ho letto successivamente solo qualcosa, mi sono fatto un’idea informandomi, leggendo recensioni che mi parevano convincenti, chiedendo l’opinione di qualcuno di cui mi fido. Per questo ciò che sto per dire, oltre ad essere antipatico e personalmente sconveniente (ma questo è un appunto personale, non un saggio, e ho il dovere di essere sincero), è oltretutto criticamente poco verificato.
Magari in futuro cambierò opinione, dunque, ma al momento mi dispiace dover registrare un’impressione allarmante: a tagliare il traguardo e piazzarsi nell’olimpo di quelli che ce l’hanno fatta sono i più mediocri.
Ecco, l’ho scritto, ora potranno mettermi in croce con in capo la dicitura “moralista supponente”.
No, l’invidia non c’entra. Non accetterei mai di essere al loro posto, alla condizione di aver scritto le stesse opere (per l’idea che ne ho ricavato o per quel che ho letto direttamente). Semmai, c’è sempre quell’ideale tradito di giustizia letteraria che mi tormenta.
Ahi, ho messo nero su bianco un’altra affermazione sconveniente. Non posso certo imporre le mie opinioni pretendendo che siano le sole veraci! Però, al momento, quel che vedo e quel che sento è questo. Anche oggi la letteratura che si registra, che sembra fare la storia, è una mistificazione.
I libri importanti per la mia generazione ci sono. Quando leggo le poesie o il romanzo di Ielmini (malgrado la produzione selezionatissima), i versi di Italiano, le opere multiformi e folli di Brullo (e cito solo i primi che mi vengono in mente), sento il rollìo che accompagna le grandi voci, quelle che, una volta richiuso il libro, ti hanno portato in un nuovo continente. E persino di Santi ammiro le opere pubblicate più in sordina, rispetto ai tentativi pop (peraltro più che leciti, se vogliamo anche auspicabili: certi autori hanno un armamentario ricco ed esplorano molteplici strade). Sto scoprendo ora la produzione narrativa di Marchesini, che come critico è ormai tra i più autorevoli. Si tratta di amici di lunga data e quindi il mio giudizio è partigiano? A dire il vero, per natura sono più spietato con gli amici che stimo anziché con le persone che conosco meno, e tuttavia aggiungiamo allora Di Fronzo (non ho ancora letto il suo secondo romanzo, ma il primo mi è parso un sigillo memorabile). Io vengo da letture soprattutto poetiche, ma chi ha seguito la narrativa saprà sicuramente aggiungere altri nomi a questo manipolo.
Dunque, che fare? Non so, quel che ho potuto ho fatto a suo tempo. Ora mi tengo questa sensazione un po’ amara senza troppe recriminazioni. Va bene così, è giusto così. Sbaglierò io. In ogni caso, i conti esatti spetteranno ad altri, fra cent’anni – se la letteratura italiana esisterà ancora.
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