“Vorrei un parere sulle mie poesie”…
Con la pubblicazione del “Catalogo dei poeti contemporanei”, in cui pure annuncio la fine della mia attività critica, si ripropone il problema dell’invio di testi e della richiesta di consigli circonstanziati sull’opera e sulla sua collocabilità editoriale, nel caso di inediti.
Malgrado l’inclusività che esibisco nel “Catalogo”, ora più che mai sono un lettore di poesia molto esigente. Seguo pochissimi autori, sebbene stia attento alle principali novità. Leggo soprattutto poesia straniera – ma a dire il vero leggo soprattutto altro: narrativa, saggistica su vari argomenti. Accumulo libri che mi interessano per quello che vado studiando e scrivendo.
Per decenni, già prima di fondare a ventitré anni la rivista Atelier, ho dialogato con chiunque si proponeva. Mi capitava anche di fornire, gratis, una o due “consulenze” a settimana, senza contare poi le eventuali repliche e controrepliche nel caso di opinioni non del tutto entusiastiche.
Anche ora leggo ciò che mi viene inviato, ma non posso più concedermi il lusso di commenti personali né tantomeno riscontri pubblici (recensioni o altro, che si sottintendono, peraltro, sempre positivi). E non sopporto eventuali ricatti psicologici, in nome della poesia, della bontà umana, della disperazione del poeta nella società contemporanea, della specifica condizione personale di sofferenza. Con quali argomenti si chiederebbe a un idraulico o a un fabbro un intervento gratuito in casa propria? Non sono un cinico: come detto, leggo tutto ciò che mi viene proposto e se qualcosa mi colpisce reagisco, nei modi che ritengo opportuni: ne parlo, suggerisco il testo ad altri, lo indico in qualche ragionamento critico. Ne serbo memoria, per come posso. Né mi interessa monetizzare la mia presunta competenza: di scuole di scrittura e laboratori esclusivi in amene località del Belpaese ce ne sono fin troppe. E non credo, l’ho già scritto (qui e qui, per esempio), che servano ad alcunché, se non a chi ne ricava un business.
Conosco il bisogno di essere letti e di ricevere un’opinione competente e magari illuminante. Ma la strada che ho percorso io è l’unica che mi sento di consigliare anche agli altri. La spiegherei in questi termini.
1) Se si stima qualche autore, significa che si apprezzano le sue opere. E allora il confronto sia anzitutto con esse. Sono loro la pietra di paragone per saggiare la tempra di quanto si sta scrivendo – tenendo presente che l’epigonismo non fa il bene né al discepolo né al maestro (dopo il titillamento momentaneo della vanità e il consenso e i relativi vantaggi a breve termine). 2) Si deve cercare semmai il confronto con coloro i quali si trovano nella medesima condizione: altri esordienti, o autori “emergenti” come si definivano una volta. Con loro il dialogo è possibile, perché sarà reciproco, simmetrico: si potrà chiedere un’opinione gratuitamente perché si è disposti, gratuitamente, a fornire la propria. 3) Se poi si è veramente bravi, si finirà per essere “adocchiati” da eventuali autori o critici competenti, a tal punto che saranno loro a chiedere informazioni su quanto si va scrivendo.
È un percorso senza scorciatoie, sebbene di ventenni o di esordienti lanciati come campioni all’improvviso ne vediamo ogni settimana. Ma l’arte richiede questo: dedizione totale. Il mestiere invece garantisce prestazioni standard remunerate secondo le leggi del mercato. E la fortuna, invece, non è solo cieca, ma pure sorda, e se per caso lancerà in aria la vostra cristalleria, non si accorgerà né dei bagliori che emanerà né del successivo disastro.
Ciò che piace al mondo è breve sogno, sentenziava il poeta.
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