Cheloidi

Queste mie poesie, inedite in volume, sono apparse, nel dicembre 2013, sul numero 72 di Atelier.

Rappresentano, come implicitamente suggerito dal titolo, qualcosa di anomalo, di mostruoso, all’interno di quanto mi è capitato finora di scrivere. Continua a leggere

I fratelli Romolo e Remo

Fratelli contro fratelli (di Umberto Saba)

STORIA D’ITALIA. Vi siete mai chiesti perché l’Italia non ha avuta, in tutta la sua storia – da Roma ad oggi – una sola vera rivoluzione? La risposta – chiave che apre molte porte – è forse la storia d’Italia in poche righe. Continua a leggere

La maschera del demonio

Stile e personalità

“L’arte vuol tutto, e chi più è, più metta.”
Alberto Cantoni

 

In una novella intitolata Il demonio dello stile, Alberto Cantoni (1841-1904) ragiona sull’arte del racconto, sotto la maschera del Bar. Ferd. Acerra che offre suggerimenti a una principiante su alcuni temi possibili per le prime prove di quest’ultima. Ma le raccomandazioni del letterato sono soprattutto per lo stile. Continua a leggere

Incontro di Ettore con Andromaca, dipinto di Gaspare Landi (1756-1830)

Visioni della battaglia gloriosa

Che fatica, questa fine di scuola! E ancora c’è lavoro da sbrigare. Anche per questo non ho avuto modo di aggiornare queste pagine – ma ho già idee e appunti su molte questioni che mi piacerebbe sviluppare prossimamente.

Intanto, ecco una poesia, legata a un aneddoto di quest’anno. Per un’attività in classe, al liceo, mio figlio mi ha chiesto una poesia che parlasse del figlio. Gli stavo proponendo testi di poeti noti, mi sembrava ovvio. Lui invece ha voluto un testo mio – forse per comodità, ho pensato maliziosamente. Così ho ripescato da Il cielo di Marte questa poesia, che si riferiva ai giorni in cui attendevo la sua nascita. Gli ho spiegato al volo qualcosa in merito alla struttura della canzone, con rime ben distanziate e dissimulate, ecc., e l’ho imboccato appena su qualche passaggio più difficile: i “delitti obbrobriosi” sono cronaca di quegli anni; le “civiltà in declino” e i nuovi “popoli oppressi” sono un riferimento alla situazione geopolitica, nei rapporti tra Europa e resto del mondo in particolare; i “traditori” sono certi presunti amici in ambito letterario, ai tempi in cui mi occupavo di “Atelier”; il “corpo dato in pasto” è quello, evidentemente, della madre dopo il parto; e così via, fino alle immagini della lotta tra padre e figlio, tra gioco infantile e previsione degli scontri adolescenziali.  Continua a leggere

Stiamo diventando tutti uguali?

E alla fine divennero tutti uguali

Qualcuno era partito da toni vertiginosi, che fecero parlare di nuovo orfismo; altri nacque come campione della linea lombarda, svezzato con un certo espressionismo sperimentale; altri furiosamente abitava il linguaggio con estro psicanalitico, prima di trovare una dizione tersa e persino sapienziale.

Strano che alla fine tutti (e altri poeti ancora si potrebbero accostare, con appena qualche forzatura in più) si siano messi a scrivere libri composti per lo più da poesie brevi, spesso di un solo periodo, che diventano tasselli di un diario compatto di riflessioni. Poesie scarsamente caratterizzate da elementi strutturali forti, appena distinguibili in qualche scelta lessicale o qualche inflessione sintattica tipica.

Ecco, qui sotto vi presento una poesia di Milo De Angelis, una di Maurizio Cucchi, una di Cesare Viviani. Continua a leggere

geranei

Natale, di Attila Jozsef

Testo di Attila József tratto da Poesie. 1922-1937, Milano, Mondadori, 2002, nella traduzione di Edith Bruck

NATALE

Venti gradi sottozero almeno,
Il vento e gli uomini cantano
Le foglie sono morte, ma è nato un uomo;
Dalla nostra calda fede di seminatori
I campi sono seri riflessivi,
Le strade guidano con amore sicuro
I cuori frettolosi,
Triste l’affetto di chi sta riflettendo
Che si sta bene adesso anche senza finestre
Anche senza legna ci si scalda col fiato della gente.
Ma i gerani, dove li metteranno?
Su di noi sonoro netto il cielo canta
E il nuovo nato con rami germogliati
Attizza il fuoco per le fronti che hanno freddo.

 

Schermo

Risveglio in sala

Oggi, una poesia.

(Viene da qui)

 

«Ma sono slavi?» Rispose di sì,

o così almeno gli parve di dire

costretto alla parola per la forza

di quella voce

femminile e notturna, «sono salvi, Continua a leggere

Rubinetteria Frattini di San Maurizio d'Opaglio (NO)

Italia ’57 (una fotografia)

Questa poesia, tratta da Il cielo di Marte, è un testo a me particolarmente caro, perché nasce da una fotografia (qui riprodotta come copertina) attraverso la quale mi rispecchio in mio padre – per misurare la distanza, ovviamente, anche nel momento in cui collassa nella somiglianza…

Fa riferimento nello specifico alla fabbrica di rubinetti di San Maurizio d’Opaglio e incide la mia poetica, come accennato qui, nelle postille. Continua a leggere

Autodafè dello stregone

Mantengo la tradizione e pubblico una poesia che mi riguarda, inserita nella raccolta Sofegón carogna (Rovigo, Il Ponte del Sale 2011). L’autore, Maurizio Casagrande, si rivolge al sottoscritto con varie allusioni (stregone e mago rimandano ovviamente al mio vero cognome, il riferimento a Marte allude al mio libro di poesie edito da Einaudi, e così via). Non ricordo se l’accusa di aver «poco cervello» si riferisca a qualche questione particolare, ma credo che i versi che seguono mi denigrino complessivamente per il progetto dell’opera comune e, in generale, per l’avventura di Atelier. Continua a leggere

La statua di Attila Jozsef

Attila József

Figlio di un operaio (che abbandonerà presto la famiglia, lui di appena tre anni, terzogenito) e di una lavandaia (che morirà nel 1919 piegata dalla fatica), Attila József conoscerà gli stenti della povertà, gli slanci delle utopie e le frustate della delusione (alcuni suoi versi vengono tacciati di vilipendio alla religione, altri saranno ritenuti offensivi per la patria; ma presto verrà espulso anche dal partito comunista clandestino). È una sorta di poeta decadente (ma non rassegnato) che vive le tensioni di un’epoca straziata: conoscerà Vienna e Parigi con le loro lusinghe avanguardiste, sognerà un futuro radioso, ma nemmeno l’amore lo riscatterà dalla sua classe sociale. Poeta politico (anche in tempi recenti la sua statua è divenuta simbolo della resistenza al regime) e lirico, si spezzerà di fronte a tutte queste prove e, schizofrenico, ad appena trentadue anni deciderà di farla finita, distendendosi sui binari di una ferrovia.

Ma voi, lettori, non siate così accondiscendenti con voi stessi al punto da attribuire ai suoi problemi il gesto estremo: leggete queste poesie giovanili, per verificare come lucidamente abbia previsto “il mare di sangue” da attraversare. Non è vissuto abbastanza per assistere alla realizzazione storica del dolore, frutto inevitabile della sua epoca. Ma, da poeta, egli, nella sua vicenda personale, lo aveva già pregustato – e divorato fino al duro torsolo di verità. Continua a leggere