La scena del risveglio del protagonista, dal film Matrix

Dormite nella pancia di Matrix

Questa intervista a cura di Davide Brullo è apparsa su “La voce di Romagna” del 18 giugno. Nel pubblicarla, Davide ha voluto togliere il suo nome, dai pochi esemplari che mi ero permesso di avanzare: qui sotto invece lo trovate là dove deve essere.

Magmatico, radicale, radioso: Andrea Temporelli ha scritto una delle opere critiche più avventate e vigorose del tempo presente. Lo abbiamo stanato dalla sua solitudine

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Samurai

Guerra lirica. Sugli ‘Smarcamenti’

Davide Brullo ha segnalato, da par suo, il mio ultimo libro. Qui di seguito il testo del suo intervento e, alla fine, il pdf della pagina originale.

GUERRA LIRICA
di Davide Brullo

Andrea Temporelli raccoglie gli editoriali di “Atelier” (e un mucchio di altre cose). Ne viene fuori un folgorante manuale per il poeta guerriero. Lo capiranno in pochi

Quasi un manuale di guerra. Andrea Temporelli, che da tempo si è fatto fuori dalla banale bagarre letteraria, propagando, dalla sua solitudine, un romanzo-granata come Tutte le voci di questo aldilà (Guaraldi, 2015), ha deciso di pubblicare gli editoriali scritti per la rivista di “Atelier” nei 18 anni (dal 1996 al 2013) in cui ne ha retto, con audacia e follia, il timone. Per farla breve, silenziosamente, con ghigno da alchimista e da anarchico, è uno dei libri di “teoria letteraria” più folgoranti dell’ultimo decennio. Ecco perché. Continua a leggere

Miguel de Cervantes Saavedra, attribuito a Juan de Jauregui y Aguilar (1583 - 1641 circa)

Romanzi che narrano di altri libri

Il suo romanzo ha un difetto di fondo – mi disse un critico e scrittore di chiara fama 5 anni fa, alla lettura di una prima versione di Tutte le voci di questo aldilà -, un libro non dovrebbe parlare di altri libri“. La risposta che mi venne alla bocca fu più o meno: “Caspita, sarebbe stato il caso di avvisare Cervantes!”. Ma ovviamente tenni per me la considerazione, non intendevo affatto scomodare paragoni tanto illustri e finire nel ridicolo: stavo solo pensando a quel genere particolare di testo che è il romanzo, alla sua origine impura.

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Lotta in evoluzione / Fight in evolution, di Annamaria Papalini, 120x55x4cm

Ecco gli smarcamenti

Ecco, in tempi rapidissimi Giuliano Ladolfi ha pubblicato Smarcamenti, affondi e fughe.

Qui c’è la giovinezza letteraria, il furore artistico, l’incandescenza della poetica, lo stato nascente del pensiero. Continua a leggere

Metamorfosi - Un altro me, Marco Paradisi, fotografia digitale

L’arte di smarcarsi

(L’opera scelta come copertina è di Marco Paradisi.
Cliccare sull’immagine per la visualizzazione completa)

Tempi grami, questi. Gli autori faticano a trovare critici capaci di masticare con competenza la loro opera, tanto che verrebbe voglia di imitare Umberto Saba, che scrisse, con Storia e cronistoria del Canzoniere, la propria autoesegesi.

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Il puro folle (1930), di Adolfo Wildt

Smarcamenti, affondi e fughe

Sta per venire alla luce un mio nuovo libro, che mi rende particolarmente fiero. Raccoglierà una porzione particolare del mio lavoro saggistico: gli editoriali scritti per Atelier, gli incontri (ovvero le interviste “raccontate”, come questa), le lettere aperte (come questa) e altri materiali, un paio anche inediti. Qui c’è la sintesi del mio pensiero critico, senza le impalcature ingessanti dell’applicazione sui testi. Si tratta infatti di interventi per lo più garibaldini, provocatori, spesso avventati: la poetica che cercavo di piantare nell’esperienza dell’opera comune deflagra in una forma che manifesta la mia natura di scrittore, più che di critico in senso stretto.

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Ammesso e non concesso

Mi sono imbattuto in questa segnalazione breve, ma incoraggiante, al mio romanzo. Non so a chi la devo, il pezzo non è firmato, ma è apparsa l’11 gennaio sul sito denominato “La Voce che stecca. Notizie, opinioni, interviste controcorrente” (precisamente, qui). Per comodità riporto comunque di seguito il testo, ringraziando l’anonimo redattore.

Ammesso e non concesso che esistano oggi dei nuovi Rimbaud o Dickinson, questi accetterebbero di farsi pubblicare? È l’interrogativo a cui tenta di fornire una risposta Andrea Temporelli in questo romanzo: un professore scopre un giovane poeta autore di versi straordinari che, se dipendesse da lui, non verrebbero mai pubblicati. Per convincerlo ad affidare i componimenti a un editore, il docente organizza un incontro di poesia così da mostrare al giovane l’essenza dell’ambiente di cui entrerebbe a far parte. Romanzo scritto con una maestria e una sensibilità difficili da trovare nei viventi senza andare a bussare ai mostri sacri, Tutte le voci di questo aldilà ci ricorda – soprattutto nella forma – i grandi classici del passato a partire dalla titolazione dei capitoli, volta a spiegare in poche righe il contenuto di quel che ci accingiamo a leggere: «IV: di come e perché l’illustre Zmorovic accetti di partecipare al progetto di Max». Contemporaneità e classicità, oggi e ieri, si fondono in un romanzo che, pagina dopo pagina, seguita a muoversi fra narrazione e riflessione, fra invenzione e realtà, fra intrattenimento e saggistica, rendendo così molto difficile affibbiargli un’etichetta. Non possiamo aggiungere altro, per non dare risposte che sarebbero riduttive di fronte alla ricchezza del testo, perciò vi consigliamo caldamente la lettura di Tutte le voci di questo aldilà.

(L’opera scelta come copertina – cliccare sull’immagine per la visualizzazione completa – è di Emanuele Sartori)

 

Rubinetto (dettaglio), di Simone Giaiacopi

“Tutte le voci di questo aldilà” ci chiamano a veglia (di Franco Acquaviva)

Andrea Temporelli non è uno scrittore di cui parlano le riviste, le radio, le televisioni. Non è un volto noto, le sue opere non finiscono sugli scaffali dei supermercati, o nelle edicole o nelle librerie-bar-enogastronomie;  nei titoli dei suoi libri la parola “vita” non la si trova; la sua raccolta di poesia più importante, pubblicata da Einaudi, s’intitola “Il cielo di Marte”; ed è difficile immaginare un sigillo più eloquente alla palese, voluta estraneità di questo Autore poco più che quarantenne alle dinamiche del sistema e del mercato editoriale italiano. Come se collocarsi al margine dell’establishment letterario italiano dovesse significare per forza dover subire lo stigma di una condizione di marginalità, residualità, emarginazione, isolamento, e non contribuire invece a delineare un luogo dove progettare, un luogo di trasformazione e di conoscenza, dove si può difendere una propria alterità creativa proprio perché si è meno soggetti alla spinta omologante che il Centro esercita a ogni livello. Difendere i margini per chi fa arte, poesia, allora può equivalere alla resistenza che i contadini del sud del mondo esercitano nei confronti delle multinazionali che vorrebbero imporre le loro sementi. Continua a leggere

Sfuggendo alla critica, di Pere Borrell del Caso

Estrema serietà e irriverente ironia (di Andrea Rompianesi)

Andrea Temporelli è alter ego poetico del critico letterario Marco Merlin, per anni responsabile, con Giuliano Ladolfi, della rivista di poesia Atelier. Un’esperienza forte, militante, anche molto polemica nei confronti di una letteratura caratterizzata da certi aspetti peculiari del Secondo Novecento.

Qui Temporelli, allontanatosi ora dall’esperienza della rivista, si fa narratore; intraprende, nel senso pieno del termine, il robusto percorso del romanzo. “Tutte le voci di questo aldilà” (Guaraldi, 2015), già nel sommario iniziale che annuncia i capitoli, esplicita dei contenuti stessi, quasi si procedesse con un ritmo alla Cervantes. Estrema serietà e irriverente ironia si profilano da subito come correlativi atti a preparare il lettore ad un percorso che non farà sconti e non concederà condoni ad un mondo, quello letterario contemporaneo, che diviene bersaglio di una disamina feroce.

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Cielo cittadino, di Salvo Misseri

Cari poeti, convertitevi alla prosa!

I poeti sono misconosciuti, sfigati, si persuadono della loro superiorità, si chiudono in combriccole, si consolano fra di loro, salvo poi scannarsi alla prima briciola caduta dal banchetto del mondo

  • Ho sempre avvertito la scrittura poetica e quella in prosa come due modalità espressive che hanno radici diverse. Essere scrittore non coincide necessariamente, per me, con l’essere poeta, anche se comprendo tutte le reciproche gradazioni, e contaminazioni, e influenze, fra i due generi. Nel passaggio dalla poesia alla prosa, o viceversa, c’è spazio per infinite sfumature e sovrapposizioni. Ma resto dell’idea che il pensiero poetico abbia un quid qualitativo specifico. Con ciò non intendo asserire che la poesia sia superiore, né che lo sia la prosa. Una buona prosa è indubbiamente superiore a una poesia mediocre.
    E un’ottima prosa, invece, è superiore o inferiore a un’ottima poesia? Il paragone non si pone, perché la loro qualità si gioca, appunto, su terreni diversi.
  • La prosa ha bisogno della poesia.
    La poesia ha bisogno della prosa? Continua a leggere