Contro le prefazioni

Confesso che ho peccato. Non molto, ma con godimento pieno. Ho scritto anch’io una manciata di prefazioni (o postfazioni e roba simile) e ogniqualvolta mi si ripropone l’invito, la tentazione è forte e la carne resta debole. Ma mi sono ripromesso di non scriverne più.

Provo infatti avversione per questo genere di testi. La poesia deve presentarsi da sola, offrirsi nuda e cruda.

Soprattutto in caso di poeti contemporanei e di nuove sillogi – dal momento che per riproposte di opere già edite il discorso sarebbe diverso. Continua a leggere

Il calcio autentico è pura poesia, residuale e reietta. Tra Superlega e Weltliteratur

Le ragioni per opporsi al progetto della Superlega sono ovvie, sensate, popolari. Siamo di fronte a un attentato oligarchico al calcio, si dice. Sarebbe l’inizio di un altro sport, si proclama. Abbasso il circo mediatico globale, che farebbe terra bruciata dei campionati locali e peggio ancora dei campetti di calcio nelle province dove i giovani tirano i primi calci, si sentenzia. È un coro pressoché unanime di indignazione verso quella esecrabile sporca dozzina. Ne manca solo uno, formalmente, per procedere con la crocifissione, ma l’agnello (ops) sacrificale è già stato individuato. Continua a leggere

Il libro, bara di Queequeg

È lo scrigno in cui si deposita il dono della solitudine − dono lieto o doloroso, sedimentazione di pena e piena felicità. È la cella in cui la solitudine impossibile dell’uomo si fa possibile perché il monologo narcisistico oppure l’annegamento nella moltitudine oppure il rispecchiamento con l’Altro si cristallizzano in forma compiuta, di parola che tace e ascolta o di parola che si veste di suono e parla nell’incontro, nell’apertura desiderante di un’altra solitudine. È cuore dell’uomo, centro della sua essenza, ma espulso dal buco nero della soggettività, stella dormiente pronta a brillare se carezzata da uno sguardo desto e sognante, perché l’incontro può avvenire solo là fuori, nell’altrove che Ci comprende. È l’algoritmo cangiante di tutte le somiglianze, dove ci sentiremo compresi restando diversi, giacché sarà rifugio e consolazione solo parzialmente, ostello per la sosta. È cella monastica che si fa specola, è specchio che si apre a finestra sul cosmo. È navicella che fa viaggiare nel tempo, lo incanta. È opera d’uomo, ma in cui si riverbera l’eco della stirpe. È l’unico congegno in grado di catturare la coscienza, iniettarla nel futuro. È la mia bara di Queequeg, vuota e leggera, per il naufragio dei figli. Il libro.

 

Ancora su Milo il grande, l’ultimo maestro

Considero – e l’ho già detto più volte – Milo De Angelis l’unico poeta tra Novecento e Duemila che si è conquistato una canonizzazione certa. Questo, al netto di tutte le riserve che nutro verso la sua poesia, fin da tempi non sospetti. Semplicemente, al di là di preferenze personali, credo che da un punto di vista storico-letterario Milo sia l’ultimo maestro riconoscibile, l’unico che abbia fatto scuola. A suo fianco, semmai, si aggiungerà Valerio Magrelli, più algido e accademico. Tutti gli altri, magari anche più bravi, sono storicamente distanziati di oltre una spanna. Almeno per ora. E tuttavia Linea intera, linea spezzata, l’ultima raccolta del poeta, ha tristemente confermato il mio scetticismo. Continua a leggere

I Salmi di Davide

Ho un rapporto speciale con il libro dei Salmi. Ha rappresentato il sottofondo di anni esaltanti e feroci della mia vita, mentre fuggivo dalla morte di mia madre e abbandonavo il resto della famiglia per entrare in seminario, a lottare con Dio, intruppato insieme a una masnada di altri ex-bambini, ciascuno con le proprie ragioni del tutto irragionevoli per trovarsi lì. Probabilmente, i salmi sono stati l’incubatrice dei miei primi tentativi poetici – aborti inconsapevoli, naturalmente. Continua a leggere

Labor limae

Appena terminata la prima rilettura del romanzo. Doveva trattarsi di una grossolana revisione di superficie, grammaticale e linguistica, e complessivamente è stato così. Del resto, ho scritto la storia di getto, senza mai rileggermi se non giusto le righe necessarie per riprendere il discorso e soprattutto il tono.

Tuttavia, sono rimasto alquanto sorpreso di essermi imbattuto in un errore strutturale imprevisto. Continua a leggere

Tra piranha e sirene. Pensieri alla spicciolata sulla mediocrità in letteratura

Nessuno si salva da solo, scrivevo. Eppure, rintanati come cavernicoli nei nostri social, quando la giovinezza interiore rimorde ci perdiamo in rivoli di pseudo-discussioni nei commenti inconcludenti di qualche post – prima di picchiarci sulla fronte e ripeterci che è inutile sprecare tempo ed energie, già si dorme poco e la vita non dà tregua, c’è da ridipingere la parete, comprare il mangime per il cane, scarrozzare i figli, andare a trovare i parenti almeno durante le feste, ecc. ecc.
Intanto Proust in posa sulla copertina dei suoi volumi sullo scaffale ostenta un’infinita, strafottente pazienza. Continua a leggere

La letteratura tra salotti, caffè, palestre e catacombe (partendo dalle aule)

La vita da prof espone a un pericolo: l’assuefazione alla via in discesa. Il cartello stradale è chiaro: “Insegnamento”. Per questa via la logica è semplificare. Colui che sa, il docente, deve portare il sapere a chi è in basso. Il rischio sono il comfort e la presunzione, ma più subdola è anche la sedimentazione nel linguaggio e nel pensiero di quel punto di vista – semplificatorio, appunto. È ben probabile che il prof apprenda con gli anni lo slang giovanile, accolga i tic delle mode, dia al proprio repertorio espressivo (e dunque al proprio pensiero) una curvatura sempre più elementare. Continua a leggere

Controcanto del poeta

Da secoli il poeta ha perso l’aureola. Eppure, proprio per questa marginalità la sua figura s’ammanta ancora di misticismo, di eroismo, di fascinosa dannazione. Il poeta è diventato il reietto, l’escluso, l’incompreso, il solitario. In virtù di un amore totalizzante e irragionevole, esiliato dalla società contemporanea, ora può glorificarsi nella polvere, perché è il più consapevole della falsità dell’alloro con cui ora s’incoronano insulsi pennivendoli, star della mediocrità imperante. E come gode mentre nell’ombra aspira avidamente l’acre vanità che lo circonda! Continua a leggere

Lo spavento di scoprirsi vivi

Stiamo tutti quanti attraversando mesi traumatici, o quantomeno faticosi. In merito alla pandemia si sono sollevati mille discorsi e, giustamente, tutti i pensatori cercano di progettare sé stessi e l’umanità oltre l’improvvisa capriola che la natura ha imposto alle nostre abitudini e ai nostri paradigmi globali. La crisi deve trasformarsi in un’occasione di rilancio. I più, ovviamente, guardano l’immediato in termini economici, gli innovatori più lungimiranti parlano in termini antropologici. Molti di questi discorsi sono interessanti e lucidi.

Resta di fatto che, al momento, siamo impantanati, soffocati da zaffate di tristezza. L’umanità è depressa, e ne ha ben donde.

Che fare?

Io ho di fronte, gran parte della giornata, ragazzini di undici, dodici, tredici anni. Alcuni (ancora per quanto?) ho la possibilità di incontrarli in aula e in cortile; altri, i più, dietro a uno schermo. Sono i più giovani arruolati nella più grande prova di solidarietà globale che la storia abbia mai sperimentato. Continua a leggere